venerdì 2 marzo 2012

di E.Z. - La vita che chiediamo di vivere ai nostri figli di vent'anni



Mercoledì 29 febbraio. Raccordo autostradale del Vernetto, Chianocco.  

“A Chianocco non si molla il blocco”. E’ un coro che suona bene.

E’ il terzo giorno che blocchiamo l’A32.  Arrivo alle 17.00, la polizia è giunta qualche minuto prima e ha sgomberato il tratto sopraelevato. Passano le ore: interviste, telecamere e giornalisti mentre le ruspe continuano a lavorare per rimuovere le barricate. Si fa sera, qualcuno spegne le luci dell’autostrada, poi le riaccende, poi forse le rispegne più tardi, quando inizieranno le cariche: il tutto è subito suonato vagamente inquietante, con il sospetto che ci fosse l’ interesse a tenere nascosto qualcosa. Iniziamo a farcene un’idea, con i poliziotti disposti in assetto antisommossa che prendono a spingere per farci venir giù dalla discenderia autostradale:  scudi , manganelli e caschi, contro le nostre mani nude, messe in alto, bene in vista. In prima linea molti leader del movimento, pronti a rischiare e a resistere, a dare un esempio che dà forza. La polizia spinge, noi non molliamo. Spingiamo anche noi e riusciamo a riguadagnare i passi che ci avevano fatto perdere. Tutti a cordone, legati a braccetto, si spinge. La tensione a quanto pare sale, dall’altra, non dalla nostra parte. Arriva un idrante puntato su di noi e ci rendiamo conto che presto o tardi, calato il sipario del teatrino dell’ultima diretta televisiva, faranno ogni cosa per farci andar via.  Sdrammatizziamo. Un ragazzo in seconda linea lancia un avviso a chi sta dietro di lui – Oh ragazzi, attenzione che nello zaino ho le uova, fate piano – Ridiamo, tutti,  e si scioglie un po’ di tensione. Un amico davanti a me tira fuori una battuta dopo l’altra e sono davvero contenta che ci sia perchè sto meglio. Quando arrivano i cambi delle forze dell’ordine commenta: – Forza ragazzi, anche noi: cambio! Forze fresche, forze fresche! -  E’ da quattro giorni che si passa le notti fuori casa, lunedì mattina ha visto Luca cadere dal traliccio e ha visto le ruspe continuare i lavori davanti a lui come se niente fosse. Ne ha passate di tutti i colori, ma continua ad esserci.  E fa morir dal ridere. Qualcuno tira fuori dallo zaino un vasetto di olive, qualcun altro del succo e dell’acqua. Si passa di mano in mano, improvvisamente ogni vicino si prende e ti concede la confidenza di un amico di sempre. Siamo tutti insieme, ci aiutiamo come si può, ci diamo una mano, per forza. Ma arriva il punto in cui si spegne l’ultima telecamera, finisce l’ultima diretta e l’ultimo giornalista con il caschetto nero e la scritta TV in skotch bianco, prende e se ne va. – A cosa ti serve quel caschetto? – mi chedo io. Una messa in scena. Tutta una messa in scena…. Fa segno a un ufficiale: – Ok, ho finito- e poi  si allontana. Bom, per oggi il suo dovere è finito. Si volta e se ne va. Quello che segue non è importante, o meglio,  non è affare della nostra informazione, non si dice, non si fa vedere, non si trasmette. Quello che segue sono le cariche della polizia. Immediatamente iniziano a spingerci con maggior vigore di prima, ma noi manteniamo la posizione. Io sono in terza linea, non molliamo. Davanti a me una ragazza urla: – Non passeranno, non passeranno! – . Ci facciamo forza, gridiamo tutti assieme “Giù le mani dalla Valsusa!”,  vinciamo la salita e muoviamo addirittura un piccolo passo avanti. I poliziotti intuiscono che si può andar per le lunghe e devono risolverla in fretta, farcela capire una volta per tutte e darci una breve, conclusiva lezione.  Alzano i manganelli, battono sugli scudi e subito dopo sulle teste di chi, davanti a loro, tiene le braccia alzate e retrocede. Non è abbastanza. Via con l’idrante. Non è abbastanza. Sparano lacrimogeni. E noi lì, in mezzo allo scontro, ai  getti d’acqua e al gas CS, micidiale, irrespirabile, schifoso e disumano come sempre.
La resistenza si sposta sulla statale 25, sulla strada che conduce nel centro di Bussoleno. Macchine parcheggiate ai lati, case e abitazioni, finchè si arriva a una trattoria. Non vogliamo andarcene e continuiamo a rimanere. A un certo punto i poliziotti partono con una carica più veloce,  corrono ed io rimango indietro. Arrivo alla trattoria La Rosa Blu, vedo che c’è gente fuori  che guarda e penso di entrare lì. Vado oltre il gazebo del dehors, ma sbaglio entrata, becco quella chiusa. Sono angosciata, panico. Batto forte sul vetro e grido : – Fateci entrare vi prego fateci entrare! – . Da dentro la proprietaria mi dice, leggo il labiale e i gesti – Fai il giro dall’altra parte – . E’ troppo tardi, non avrei il tempo di tornare indietro per entrare perchè me li ritroverei di fronte e non posso che inventarmi un’uscita, un vicolo , un’apertura da qualche parte che non c’è . Ho 22 anni, molti nel movimento sanno o intuiscono il mio spirito non-violento. Meglio prendersele che darne, dico.  Gli sbirri sono persone, ribadivo… e forse un po’ ci spero ancora. Mi sono ritrovata lì  senza sbocchi e nessuna via d’uscita. Giusto il tempo di realizzarlo e di vedere con me altre due o tre persone e poi i poliziotti arrivare. Prima che si voltino ho non so quale insperato attimo per togliermi la maschera antigas e buttarla a terra per evitare di complicare ulteriormente le cose. Si girano verso di noi e ci vedono. Le mani alzate: – Non mi fate del male, vi prego non mi fate del male – Grido. Impressione di vulnerabilità, impotenza. D’istinto indietreggiamo tutti verso l’androne dell’abitazione alle nostre spalle. Un poliziotto mi guarda in un modo che non mi piace: in quel momento ho detestato i miei capelli biondi. Un altro in prima fila scatta, picchia un signore alla mia sinistra con lo scudo, che riesce a rimanere in piedi per non so quale azzardo di possibilità. Un altro ancora  o forse lo stesso, non ricordo, impazzisce e inizia a prendere a manganellate il terreno, lo scudo, il muro, cose inanimate. La violenza mi getta in un ambiente sconosciuto e non ho il coraggio di assistere o di rimanerci. Ho solo pensato: di qua me ne devo andare – mi rifiuto di ritrovarmi nella merda. Dietro di me un cancello alto un paio di metri conduce alle abitazioni al primo piano. In cima spuntoni anti-ladro.  L’avevo già adocchiato prima come possibile via di fuga ma le punte mi avevano scoraggiata. Ora in un modo o nell’altro mi impongo di farcela. Mi aggrappo al cancello e alla mia istintività,  mi arrampico, dietro di me sento – Prendetela, non lasciatela scappare prendetela! – (Siamo proprio in un film, penso…con chissà quale avanzo di ironia). Non ci riesco bene, ho le pedule troppo spesse che non passano tra le sbarre, sono impacciata. Una punta mi spinge nella coscia, riesco ad arrivare anche con il secondo piede dall’altra parte ma mi si impigliano i pantaloni. E porca puttana! Penso grido sbraito non lo so. E vaffanculo strappo, strappo via i pantaloni, mi si aprono e faccio giusto in tempo a togliere le dita della mano dal cancello quando vedo uno sbirro che tenta di prendermele a manganellate. Mi metto a posto i pantaloni, me ne vado, corro su per le scale. Citofono all’alloggio a destra, vedo un vecchietto attraverso la finestra illuminata, seduto, a guardare. – Mi faccia entrare, mi faccia entrare, per piacere, per piacere!- Intuisce il panico e la disperazione – le emozioni sono difficili da imbrigliare nella novità – ma se ne sbatte. Rimane impassibile, scuote la testa e anzi sulla sua faccia prende forma una sprezzante espressione di schifo. Adesso, a mente ferma,  sono più schifata io, ne stia certo. Volo a sinistra, mi aggrappo al campanello con insistenza. Suono e ri-suono. Sotto sento voci, grida, manganelli che sbattono, ma non so dove o su chi. Mi apre la porta un volto che vedo e che mi pare delizioso. Una donna dallo sguardo a metà tra l’angosciato e il sorpreso: – Mi faccia entrare, per cortesia mi faccia entrare! – Penso di non aver mai supplicato qualcuno per davvero, fino a quel momento. Mi guarda.- Entra…- Una voce dolce. Una voce dolce in mezzo a tutto questo schifo e a questa prepotenza. Entro, tremo, rotolo in salotto. Mi seggo per terra. Mi scusi ho i pantaloni bucati, mi scusi. Sono pure sporca di sangue. Mi scusi, mi scusi. Tranquilla, stai calma. Respiro, guardo a terra, respiro, guardo a terra, mi volto. Un ragazzino è sulla porta, allucinato. E’ il figlio. Mi rendo conto che prima stava combinando qualcosa a cavallo tra giocare a soldatini e guardare “Il Gladiatore”. La vita a volte sa essere incredibilmente sarcastica. Mi guarda, uno sguardo veloce, e  poi mi butto di nuovo a guardare il pavimento. Vado in bagno, mi sistemo, mi vengono offerti dei pantaloni nuovi e mi rimetto in sesto. Esco dal bagno. Scambiamo due parole che non ricordo e che, sono certa, non ricorderà neanche lei. Andiamo alla finestra e guardiamo cosa succede fuori. Un gruppo di poliziotti prende una via laterale, un signore per strada indica un punto in lontananza e questi prendono a seguirlo. Caccia all’uomo. E non so se possano entrare in casa, non so se riescano o possano prendersi il diritto di farlo, come loro solito.  Da sotto sento: – Polizia, fate entrare, polizia! – e botte di manganello e una donna che grida. Sono sconvolta, non vedo, sento soltanto e faccio correre le immagini su quello che le mie orecchie riescono a percepire. Sento arrivare anche un’ambulanza e qualcun altro grida – Guardate cosa provocate, guardate cosa provocate voi! – . Ho paura. Sento delle manganellate metalliche e capisco che sono sul cancello che ho scavalcato. Ho ancor più paura. Forse per sorridere o forse per sperare in qualcosa che possa rivelarsi improbabilmente efficace,  dico: – E se cambiassi i vestiti? Può essere una buona idea? – . Mio Dio, sembra davvero di essere in guerra. Mi tornano in mente quelle storie di fuggitivi che trovavarono rifugio in case di privati, durante le guerre mondiali. Ma non siamo in quel periodo, siamo nel 2012, in Italia, in un paese che dovrebbe essere democratico, in un paese che questi mezzi dovrebbe abolirli, sbatterli fuori dal suo registro, ripugnarli! E invece no. Scene incredibili, irragionavoli, ingiuste, brute, incivili!  Mi cambio, mi metto in desabillè, la signora nasconde lo zaino e l’altra roba. Puzzo di lacrimogeno, ho i capelli bagnati e il cuore a mille, ma andrà tutto bene. – Se entrano sono tua figlia? – , – Se entrano sei mia nipote- . E andiamo. Sporgo ancora l’orecchio vicino alla finestra: -Guardate che non siamo terroristi, siamo normali cittadini di Bussoleno e guardate che abbiamo visto cosa avete fatto eh! – Un signore, cliente o frequentatore della trattoria ha avuto il coraggio di dire quello che gli sembrava giusto: ho poi visto, una volta uscita, che quella porta chiusa da cui non ero potuta passare, i poliziotti l’avevano mandata in frantumi a colpi di  manganello. Rimango lì . I poliziotti del vicolo della caccia all’uomo tornano. La proprietaria della casa in cui mi trovo rivece una telefonata da un vicino che le dice che ha nascosto una quarantina di attivisti da lui. A quanto pare se la sono scampata bella e si ravviva in me la fiducia che andrà tutto bene.
Allontanatisi i poliziotti, finalmente, rientro nella cameretta del ragazzino per rimettermi i miei vestiti e uscire.  

Sul suo cuscino, con a lato la stampa di un leone, leggo queste parole : “Il potere corrompe. Il potere assoluto non è niente male”.

E.Z., 22 anni, valsusina

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